500 libbre di peso, con 127 chili di tritolo. Sono le caratteristiche della bomba d’aereo rinvenuta il 18 settembre scorso a Venezia Mestre nel cantiere dell’Università Ca’ Foscari, in via Torino, in cui si sta realizzando l’allargamento del campus, e fatta brillare ieri.
Si tratta di un residuato bellico americano modello AN M64 General Purpose e secondo gli artificieri dell’esercito è una bomba “sorella” di quella rinvenuta a porto Marghera e fatta brillare il 2 febbraio 2020: con ogni probabilità sono state sganciate dallo stesso aereo.
Le operazioni ieri mattina sono iniziate alle 6, con l’evacuazione delle circa 500 persone residenti nell’area rossa. Questa volta, rispetto a nove mesi fa, l’area di gittata della bomba era stato ridotto a 468 metri (rispetto ai 1.800). Questo grazie ad una struttura di contenimento adatta a ridurre i potenziali danni causati da una esplosione accidentale messa a punto dall’Esercito e utilizzata per la prima volta.
Tutte le forze dell’ordine sono state impiegate nella prima fase delle operazioni tra pattuglie anti sciacallaggio, sgombero e regolazione del traffico. Alle 6.30 è scattato il divieto di circolazione nell’area di sicurezza, treni compresi. Le case interessate sono state liberate tutte entro le 7.45: a quel punto sono partite le attività di disinnesco degli artificieri dell’ottavo reggimento guastatori paracadutisti “Folgore” di Legnago.
Alle dieci del mattino le operazioni più delicate erano già concluse, il prefetto Vittorio Zappalorto ha dato il via libera alla detonazione delle spolette e il convoglio con i quasi 130 chili di tritolo si è mosso alla volta del porto, dove è stato affidato agli uomini del gruppo operativo subacquei nucleo Sdai di Ancona della Marina Militare e scortato dalla Guardia Costiera, per essere poi rimorchiato fino a 3 miglia al largo.
Alle 15.20, la bomba è stata fatta brillare in mare. La marina militare, ieri, durante le operazioni ha spiegato che la bomba viene immersa a una distanza di sicurezza dal fondale, circa una decina di metri, per evitare il rischio “bolla d’aria” e per limitare al minimo i danni alla fauna e al fondale marino.
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